In questo lungo fine settimana di lockdown in zona rossa, mi è capitato di leggere un libro sorprendente.
Non vi parlerò del romanzo in sé, piuttosto cercherò di condividere quello che passava, sempre più chiaro nella mia mente, parola dopo parola, pagina dopo pagina.
La storia è ambientata durante l’assedio di Leningrado, una delle pagine più atroci della seconda guerra mondiale. I civili non furono evacuati e restarono intrappolati nella città accerchiata dalle truppe tedesche, senza aiuti o rifornimenti, per due anni e cinque mesi.
Due anni e cinque mesi, costretti a soffrire la fame e gli stenti, complici le bombe e il gelido inverno russo, le persone morivano come mosche, famiglie intere, uno dopo l’altro.
Erano i primi anni quaranta, non sono passati nemmeno ottant’anni, eppure quanto è cambiato il valore della vita? La percezione che noi abbiamo dei diritti e della libertà?
La nostra civiltà occidentale, la più fortunata e prospera di sempre, costruita sulle ceneri di quei massacri, ci ha convinti che ogni vita è sacra.
Così le persone hanno imparato l’egoismo, ora ogni nuova nascita è diventata un evento da celebrare in grande e ogni morte una tragedia da piangere per sempre. Questo però non è valido per tutti, ma solo per chi gode dei vantaggi del moderno capitalismo. Nato dopo una guerra, cresciuto facendone molte altre, prosperato affamando e avvelenando il pianeta.
Noi non sappiamo più soffrire, pensiamo che tutto ci sia dovuto, crediamo che il lockdown, le mascherine, e il non poter più andare al ristorante siano la negazione della libertà. Siamo convinti che stare chiusi in casa sul divano sia un sacrificio.
Riteniamo le nostre vite più importanti di altre, quando guardiamo con indifferenza dei disperati che annegano in mare, e un bambino che si perde tra le acque gelide, magari mentre festeggiamo il compleanno del nostro cane.
Non saper più soffrire e inseguire una vita perfetta ad ogni costo ci ha resi peggiori, pensiamo di avere solo diritti, come i bambini viziati che stiamo facendo crescere con l’illusione di essere al centro del mondo. Tra vent’anni la nostra società sarà composta di tanti giovani re e regine, convinti di avere il diritto inalienabile di ottenere tutto senza dover fare nulla.
La malattia e la morte, sono diventate eventi da spettacolarizzare, vanno condivise ossessivamente, perché non sono più parte della vita, e chi soffre in silenzio e dignità è preso per freddo o per strano.
Non so verso cosa stiamo andando, ma perdendomi tra le pagine di quel romanzo, mentre il mio immaginario di lettrice percorreva le strade ghiacciate di Leningrado, piene di cadaveri, di terrore e di fame; ho pensato che alla fine saper soffrire equivale a saper sopravvivere.
Non è la specie più forte che si salva, ma quella capace di adeguarsi meglio ai cambiamenti, e per adeguarsi ai cambiamenti bisogna avere la forza morale di non essere egoisti e il coraggio di non lasciarsi sopraffare dagli eventi. Siano questi un assedio o una pandemia.
Il passaggio dei rifornimenti attraverso il lago di Ladoga si rivelò l’ancora di salvezza di Leningrado. A cosa si potrà ora appigliare l’umanità per non affondare in questa deriva di valori? Me lo chiedo anch’io…
Poche persone troveranno la via attraverso il lago stavolta, ma sono certa che la via c’è. Bisogna solo avere coraggio.